Genere Classico
Leggere questo libro è stata una vera e proprio avventura! Alla fine, però, sono giunta alla fine.
Il "Decameron" è un racconta di novelle, nello specifico, cento novelle raccontate in dieci giorni da dieci giovani.
Nella primavera del 1348, in Italia si diffuse la peste nera.
Boccaccio inizia il suo racconto parlando proprio degli effetti di questa malattia sulle persone, parla del caos che ha scatenato, della vita quotidiana in quel clima funesto.
In un secondo momento, ci narra di sette giovani donne che un martedì mattina si ritrovano nella chiesa di Santa Maria Novella.
Pampinea, Fiammetta, Filomena, Emilia, Lauretta, Elissa, Neifile. I loro nomi sono inventati, a quanto pare Boccaccio non vuole rivelare quelli veri.
Quel giorno, Pampinea, una delle donne, propone alle altre di andare in campagna, di ritirarsi per fuggire la peste.
Un'altra giovane, Filomena, propone di invitare anche dei ragazzi, ed ecco che alla comitiva si aggiungono tre giovani, Panfilo, Dioneo, Filostrato, che stavano passando dalle parti della chiesa proprio in quel momento.
Il viaggio viene quindi organizzato e il giorno dopo, con fantesche e servitori, se ne vanno in campagna.
Dato che sono lì per divertirsi e non per intristirsi, decidono di eleggere ogni giorno un re o una regina che provveda al divertimento di tutti e alla gestione della casa.
La prima regina è Pampinea ed è lei a proporre di narrare novelle.
Ognuno ne deve raccontare una, il tema della prima giornata è libero.
Ecco che inizia una lunga serie di novelle.
A volte le novelle sono collegate tra loro, alcune contengono al loro interno altre novelle.
I temi sono vari ma a volte vengono ripetuti.
In generale, si parla di storie d'amore, con o senza lieto fine, di scherzi, di rivincite, di morte e peccato, di preti un po' troppo libertini, Boccaccio non ha una grande opinione di loro.
Nelle novelle, a volte c'è un richiamo ad altre opere.
Boccaccio aveva una passione per Dante e la sua celebre Commedia. Questa passione si vede tra le pagine del "Decameron", già il titolo è un richiamo alla Commedia, per intero è "Decameron cognominato prencipe Galeotto" un richiamo a Paolo e Francesca che nel V canto dell'inferno dicono "Galeotto fu il libro e chi lo scrisse".
Una cosa che mi ha sorpresa in positivo è il fatto che spesso, Boccaccio, narra di donne non servili, caste, riservate ma di donne disinibite, passionali, amanti alla ricerca di piacere.
Alcune novelle, poi, sono brevi altre infinite! Con dialoghi lunghi più di una pagina.
Spesso Boccaccio fa dei giri di parole assurdi, l'ho adorato però quando usava mille e più metafore per raccontare della passione che esplodeva tra un uomo e una donna ... o tra una donna e più uomini.
Alcune novelle sono pesanti, prolisse, altre fanno morire dal ridere!
Tra le pagine di questo libro mi sono annoiata, arrabbiata, divertita!
La scrittura, certo, è complessa ma non illeggibile e nella mia edizione c'erano tutte le note e gli aiuti possibili, quindi leggerlo non è stato impossibile, anzi, è stata una grande, piacevole impresa.
Ho trascorso la quarantena con Boccaccio e i dieci giovani, e non è stato spiacevole.
"La morte di Ivan Il'ic" di Lev Tolstoj
Editore Feltrinelli
Genere Classico
Il libro si apre proprio con la morte del nostro protagonista: Ivan Il'ič.
Dopo un breve inizio in cui si parla del suo funerale e di come i colleghi hanno reagito alla notizia della dipartita di Ivan, ecco che entriamo nella parte centrale del libro.
La vita di Ivan si dispiega davanti a noi, gioie e dispiaceri.
Facciamo un tuffo nel passato, nella gioventù di Ivan, votata alla libertà, alla gaiezza per poi andare avanti veloce fino ad arrivare agli anni più maturi, contrassegnati da delusioni cocenti e grandi vittorie.
La trama non è ricca di eventi, non è caratterizzata da episodi particolarmente degni di nota, è la storia di una vita, come tante, con problemi e gioie, con alti e bassi.
Una parte, tuttavia, cattura maggiormente l’attenzione.
Quella in cui si parla della malattia di Ivan, delle difficoltà che ha nel trovare una diagnosi e del dolore che prova.
Il decorso della malattia, l’idea della morte ricoprono una parte considerevole del libro, parte che attira l’attenzione del lettore su un tema delicato: la morte.
Una morte indecorosa, piena di menzogne, di illusioni, di dolore.
Il racconto è breve ma l’autore riesce ugualmente a far affezionare il lettore al protagonista.
L’aspetto che più mi ha conquistata, però, il punto di forza di questo libro, è la narrazione, è questa a rendere il tutto più interessante.
Una narrazione essenziale, non troppo dettagliata ma ammaliante.
In certi punti si sente anche il sentore di un’ironia velata, appena accennata.
Sono rimasta incantata dalle parole dello scrittore, da ciò che esse raccontavano, dalle immagini che evocavano.
"Taras Bul'ba" di Nikolaj V. Gogol'
Editore Bur
Genere Classico
Bul’ba accoglie i due figli, Ostap e Andrij, di ritorno a casa.
I due non si fermeranno per molto, però, il padre li obbliga a seguirli alla Seč, la scuola di guerra istituita dai cosacchi. Vuole che si addestrino, vuole che diventino dei guerrieri.
Bul’ba è un colonnello dal carattere duro, ostinato e rude. È un cosacco fedele che non vede l’ora di andare in guerra, di uccidere il nemico, in questo caso, i polacchi.
Elemento ben marcato in questo libro è l’ambientazione, nello specifico, il paesaggio ucraino, descritto abbondantemente e così bene da poterlo immaginare facilmente.
Altro particolare che spicca nel testo è la tradizione, con questo intendo non solo le danze tipiche ma anche tutti quegli aspetti che riguardano la quotidianità alla Seč e in battaglia.
Il tema principale è la lotta tra polacchi e cosacchi, in generale la vita militare, il modo in cui essa influisce sulle persone.
Bul’ba è un uomo totalmente votato alla guerra, fedele ai suoi ideali, è nato per combattere e questa sua natura lo rende cieco a tutto il resto, il suo cuore batte solo per la battaglia. Ha sete di sangue, del clangore delle armi che si incrociano. È un uomo spietato. Questo personaggio mi ha fatto tanta pena.
Contrapposto a lui c’è Andrij, ragazzo votato all’amore più che allo scontro.
La figura più degna di nota è però la madre dei due fratelli. Quanta saggezza c’è nel suo pianto quando veglia sul sonno dei figli, la notte prima della loro partenza.
La storia è ricca di eventi ma la narrazione è fin troppo dettagliata.
Alcuni dialoghi sono poi piuttosto prolissi.
Non è un racconto leggero, anzi, è leggermente pesante e complicato da metabolizzare ma dà molto a cui pensare.
Editore Feltrinelli
Genere Classico
Il libro si apre proprio con la morte del nostro protagonista: Ivan Il'ič.
Dopo un breve inizio in cui si parla del suo funerale e di come i colleghi hanno reagito alla notizia della dipartita di Ivan, ecco che entriamo nella parte centrale del libro.
La vita di Ivan si dispiega davanti a noi, gioie e dispiaceri.
Facciamo un tuffo nel passato, nella gioventù di Ivan, votata alla libertà, alla gaiezza per poi andare avanti veloce fino ad arrivare agli anni più maturi, contrassegnati da delusioni cocenti e grandi vittorie.
La trama non è ricca di eventi, non è caratterizzata da episodi particolarmente degni di nota, è la storia di una vita, come tante, con problemi e gioie, con alti e bassi.
Una parte, tuttavia, cattura maggiormente l’attenzione.
Quella in cui si parla della malattia di Ivan, delle difficoltà che ha nel trovare una diagnosi e del dolore che prova.
Il decorso della malattia, l’idea della morte ricoprono una parte considerevole del libro, parte che attira l’attenzione del lettore su un tema delicato: la morte.
Una morte indecorosa, piena di menzogne, di illusioni, di dolore.
Il racconto è breve ma l’autore riesce ugualmente a far affezionare il lettore al protagonista.
L’aspetto che più mi ha conquistata, però, il punto di forza di questo libro, è la narrazione, è questa a rendere il tutto più interessante.
Una narrazione essenziale, non troppo dettagliata ma ammaliante.
In certi punti si sente anche il sentore di un’ironia velata, appena accennata.
Sono rimasta incantata dalle parole dello scrittore, da ciò che esse raccontavano, dalle immagini che evocavano.
"Taras Bul'ba" di Nikolaj V. Gogol'
Editore Bur
Genere Classico
Bul’ba accoglie i due figli, Ostap e Andrij, di ritorno a casa.
I due non si fermeranno per molto, però, il padre li obbliga a seguirli alla Seč, la scuola di guerra istituita dai cosacchi. Vuole che si addestrino, vuole che diventino dei guerrieri.
Bul’ba è un colonnello dal carattere duro, ostinato e rude. È un cosacco fedele che non vede l’ora di andare in guerra, di uccidere il nemico, in questo caso, i polacchi.
Elemento ben marcato in questo libro è l’ambientazione, nello specifico, il paesaggio ucraino, descritto abbondantemente e così bene da poterlo immaginare facilmente.
Altro particolare che spicca nel testo è la tradizione, con questo intendo non solo le danze tipiche ma anche tutti quegli aspetti che riguardano la quotidianità alla Seč e in battaglia.
Il tema principale è la lotta tra polacchi e cosacchi, in generale la vita militare, il modo in cui essa influisce sulle persone.
Bul’ba è un uomo totalmente votato alla guerra, fedele ai suoi ideali, è nato per combattere e questa sua natura lo rende cieco a tutto il resto, il suo cuore batte solo per la battaglia. Ha sete di sangue, del clangore delle armi che si incrociano. È un uomo spietato. Questo personaggio mi ha fatto tanta pena.
Contrapposto a lui c’è Andrij, ragazzo votato all’amore più che allo scontro.
La figura più degna di nota è però la madre dei due fratelli. Quanta saggezza c’è nel suo pianto quando veglia sul sonno dei figli, la notte prima della loro partenza.
La storia è ricca di eventi ma la narrazione è fin troppo dettagliata.
Alcuni dialoghi sono poi piuttosto prolissi.
Non è un racconto leggero, anzi, è leggermente pesante e complicato da metabolizzare ma dà molto a cui pensare.
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